Modena Football Club 2018 entra nel Partner Corporate Donor

Anche Modena Football Club 2018,  in virtù di una  generosa erogazione liberale a favore di LILT Modena OdV il entra, da oggi a fr parte del “Partner Corporate DonorMember Top Donor”, uno speciale riconoscimento per i donatori amici che hanno deciso di schierasi al fianco dell’associazione per sostenere la lotta contro i tumori e i servizi che la LILT  riesce ad erogare con i Suoi volontari a favore dei pazienti e dei famigliari e finanziare il Progetto Casa Luce e Sorriso – Centro di Riabilitazione Oncologica

IlPartner Corporate DonorMember Top Donor “ è un titolo che vuole riconoscere la sensibilità e l’impegno nel sociale e nel proprio territorio a fianco della LILT. Vi segnaliamo che abbiamo provveduto ad inserire il Vostro logo sulla pagina web dedicata https://www.lilt.mo.it/chi-siamo/aziende-partner-corporate-donors/

Ai Dirigenti e i collaboratori ad ogni livello di Modena Football Club 2018, come segno di stima e ringraziamento profondamente espressi va il nostro ringraziamento: da oggi in poi sarà un onore e un vanto avere un amico in più a camminare con noi sulla strada della lotta contro i tumori. Affinché un sogno che viene da lontano si tramuti in realtà per illuminare la Vita.

La donazione ci da modo e slancio per regalarVi un piccolo racconto scritto nel 2021 da un nostro associato che, ne siamo certi, sarà apprezzato da chi ama il Modena, come i Suoi attuali amministratori e i suoi tifosi d’antan.

Un uruguagio chiamato Raul e la Superlega.

Le vicende della Superlega hanno,se non altro, avuto il non cercato merito di aver sottratto, per alcune ore, le prime pagine dell’informazione all’epidemia di Coronavirus.

Io ho amato profondamente il calcio fino a pochi anni e spicci dall’età della presunta ragione dell’anagrafe. Un esempio? Idolavo Messieur Platini tramite l’esposizione della sacra icona del transalpino via Agrate Conturbia – Piemonte, in forma di poster a grandezza naturale in camera mia. Infanzia ed adolescenza bianconere, ebbene sì, lo confesso.

Poi il calcio l’ho vissuto come pura espressione di uno degli ingranaggi economici del mercato, continuando ad apprezzarne, per questione para-professionale, l’aspetto atletico e tecnico.

L’operazione Superlega è l’ultimo passaggio del calcio alla logica del capitale, quello più scorretto e negletto, il capitalismo che non crede nel libero mercato e dunque non crede neanche in sé stesso.

Il mio calcio è quello che passa dai grandi eroi della sua storia, partendo da Sindelar, passando dall’epopea del grande Torino, da Garrincha, Meroni e George Best e tanti altri fino a Maradona, l’ultimo eroe del calcio epico. Eroe, sì e sapete perché? Perché Maradona piangeva. Piangeva come tutti i grandi eroi omerici. Ulisse, Ettore, Achille, Aiace piangevano e pure spesso perché gli eroi sono uomini che si vivono appieno. Solo Paride non piangeva mai, proprio per questo eroe non è stato. Pure il papà Menelao lo considerava un bell’imbusto, un po’ bamboccio, capace solo di ammaliar donne ma senza forza e senza coraggio.

Oggi sui campi non ci sono più Achei né Troiani, ma molti Paride seppur con rare e per questo preziose eccezioni.

E non c’è più neppure un ragazzo di Montevideo dal naso importante chiamato Raul e quel che fece un giorno certo adesso non si rivedrà.

Arrivò a Modena in un’infausta estate. Sui giornali echeggiava la parola “Blietzkrieg”, già si parlava di guerra. Era l’estate del 1939. Era uruguaiano Raul Banfi. Diceva di avere ventinove anni volendo credergli. Era un tale asciutto asciutto, quasi oblungo, con due piedi che partivano qui e finivano chissà dove e aveva un’interrogativa maiuscola e un iperbole esclamativa al posto del naso.

Quando gli prendeva il ghiribizzo della mattana era un palo piantato a dividere il campo, ma quando il capriccio bizzarro del genio accennava a fare capolino faceva cose mai viste. E un giorno fece quello che nel calcio di oggi di certo non vedrete.

Era una gara amichevole e vuoi per il caldo, vuoi per l’indolenza sudamericana che quel giorno lo cullava, da mezz’ora se ne stava ciondolante in mezzo al campo senza far nulla. Poi accadde qualcosa che lo svegliò. I fischi e le pernacchie dei tifosi forse gli sembrarono trombe e bombarde che gli disturbarono il dolce torpore, cose da ripagare a ritmo di tango candombe con tanto di svisata finale.

Chiese la palla e appena la ebbe la nascose tra i piedoni e non la lascio più. Tra un dribbling che aveva del miracoloso, una finta da impavido torero e uno scatto felino fece fuori tutta la difesa e si bevve pure il portiere. La porta era vuota. Settemetrietrantadue di corsia di gesso a meno di sessanta centimetri. Li percorse saltellando con il piede destro e facendo rotolare la palla con il sinistro tenendola artigliata con i tacchetti. Fermò il piede con sotto il pallone e la posò sulla linea di porta.

Lo lascio lì.

Si voltò, fece un saluto romano anche se ai più parve un movimento troppo svelto tanto da assomigliare a qualcos’altro di ben meno marziale, più “organico” insomma.

Fece leva sul tallone destro ruotando il corpo e se ne andò negli spogliatoi.

Le tribune del prato da calcio erano mute come il campo di un cimitero.

Cose così non accadono più.

Sotto al poster di Platinì, sul comodino di camera mia, avevo una fotografia dono di un vecchio dirigente del Modena, purtroppo andata persa.

Era ritratto un giocatore nell’atto di calciare il pallone lontano. La gamba lunga un chilometro, forse appena meno del naso. C’era una dedica: “Ad amigo Debbia Arrigo para requerdo de Banfi Raul”.